Claudia
non era solo una bella bambina, portava a giro i suoi occhi azzurri e il suo
faccino rotondo con una dolcezza, un garbo e una delicatezza così naturali che tutti
ne eravamo conquistati; era
la più piccola
della classe e dal momento del suo arrivo ne divenne la mascotte, adorata da
tutti i compagni. La sua carriera scolastica era iniziata dalla seconda, perché i suoi genitori a
cinque anni l'avevano iscritta alla "primina", una specie di anticipo
dell'obbligo scolastico, del tutto arbitrario e privatistico, abbastanza
frequente tra le famiglie che pensano così
di "regalare" un anno di vantaggio ai propri figli nella corsa
verso il futuro.
I
genitori, appunto, erano secondo noi l'unico problema di Claudia. E non perché fossero delle
persone problematiche. Tutti e due scienziati, lui direttore di un prestigioso
centro di ricerche e lei docente universitaria, erano una coppia unita,
brillante, colta, molto collaborativa con gli insegnanti e ben integrata nel
gruppo degli altri genitori, con i quali partecipavano attivamente alle varie
iniziative organizzate dalla scuola.
Il
problema era l'atteggiamento iperprotettivo e la pretesa di continuo controllo
che, soprattutto la mamma, aveva sviluppato nei confronti di Claudia, un atteggiamento
di cui erano consapevoli e sul quale facevano anche dell'ironia, ma che non
riuscivano a modificare.
Si
giustificavano con il fatto di aver avuto Claudia ad un'età non giovanissima
ed i colloqui con loro si riducevano spesso a raccomandazioni e richieste di
rassicurazione sull'adeguatezza del percorso scolastico di Claudia, e sul fatto
che a lei fossero evitati tutti i possibili traumi, fisici naturalmente, ma
soprattutto emotivi.
Pur
essendo persone aperte, prive di pregiudizi, riservavano particolari
apprensione ed imbarazzo alle questioni relative alla sessualità che potessero
sfiorare Claudia, trovavano che fosse sempre troppo presto per affrontare tali
argomenti con lei e non perdevano occasione per raccomandarci di tenerla fuori
da qualunque discussione o suggestione in questo settore; mentre in ogni altra
disciplina, ovviamente, richiedevano il massimo delle performance.
Per noi
erano insomma una presenza ingombrante, nonostante ci fossero molto simpatici
non riuscivamo mai a metterci comodi con loro, sentivamo l'insicurezza e la
disapprovazione sempre in agguato...
Intanto
Claudia, più o
meno ignara delle questioni irrisolte tra gli adulti intorno a lei, cresceva a
scuola nel modo che riteneva migliore: impastando torte di fango, sbucciandosi
le ginocchia, arrampicandosi sugli alberi, facendo la lotta con i maschi,
sbadigliando a fare i compiti, parlando con le amiche durante le lezioni... e
faceva tutto questo mantenendo una grazia ed una imperturbabilità che la facevano
sembrare davvero chiusa in una bolla di sapone, impermeabile a giudizi e
difficoltà.
Almeno prima del Ciclone.
Erano i
tempi che la scuola primaria si chiamava ancora elementare e la Maremma non era
ancora di moda, con le mie colleghe organizzammo una gita nel magico triangolo
etrusco/medievale Pitigliano, Sovana, Sorano. Lavoravamo su due classi
parallele, due quinte, che consideravamo un unico insieme, dividendole
all'occorrenza in gruppi misti, a seconda delle attività e dei momenti.
Ma non è di questo che si
parla.
Per
portarci a Pitigliano con il pulman venne a prenderci un autista giovanissimo,
molto simpatico e sorridente. Sembrava avere pochi anni più dei nostri alunni.
Però sapeva il fatto
suo. Dopo il breve tratto di superstrada, per salire all'Amiata, iniziano lente
strade collinari, dalle curve infinite, dove vomiterebbe anche uno sherpa
tibetano. Affrontarle con un gruppo di ragazzi scalmanati può trasformarsi
davvero in un'esperienza splatter. Ma il nostro autista aveva l'antidoto
giusto: un maxi schermo televisivo ed un film che avrebbe catturato corpo e
mente dei ragazzi, stomaci compresi. "Il ciclone".
Per i
tre o quattro che non conoscessero questo film, e ai quali raccomando di
correre a procurarselo, dirò
che si tratta di una commedia sentimental/boccaccesca, con battute
divertenti, che oscillano dal surreale al triviale con una leggerezza e una
malizia tutta toscana. Un audace gioco d'equilibrio per irridere il volgare
senza mai caderci, attraverso situazioni e doppi sensi (a volte anche sensi
unici) a sfondo sessuale.
Funzionò. I ragazzi si
divertirono come pazzi, dandosi di gomito ad ogni battuta, rimasero concentrati
sul film e si dimenticarono di vomitare.
Sull'opportunità della scelta le
mie colleghe ed io non avemmo dubbi: in fondo era un film che poteva essere proiettato anche nelle sale
parrocchiali. Se il parroco è
di larghe vedute.
L'unica
perplessità stava
nella reazione dei genitori di Claudia, una volta che ne fossero venuti a
conoscenza. Però c'erano
ancora tempo prima di tornare, poteva darsi che nel frattempo il film cadesse
nel dimenticatoio.
Dopo tre
giorni e due notti passati ad esplorare vie cave, scoprire tombe monumentali
nella macchia, giocare agli etruschi su antiche mura, scendere in labirinti
sotterranei scavati nel tufo, mangiare, anzi divorare, cibi di rigorosa
produzione locale, ridere, scherzare e cercare di passare da una camera ad
un'altra, eludendo la nostro sorveglianza, i ragazzi salirono sul pulman del
ritorno. La prima cosa che chiesero fu di rivedere Il ciclone. E come potevamo
dirgli di no? Oltretutto era una garanzia di riposo, ce lo meritavamo.
Claudia
era in prima fila, attenta, seria, concentrata. Non si perdeva un fotogramma,
sembrava l'inviata speciale di una rivista di critica cinematografica.
Avvicinandosi
a Firenze nelle mie colleghe e in me saliva inevitabilmente l'ansia per il
prevedibile scontro con i genitori di Claudia, di tutti gli altri eravamo più che sicuri che non
ci sarebbero stati problemi.
Ad una
mezz'ora dall'arrivo non resistetti ad
affrontare l'argomento con lei, mi misi a sedere sugli scalini a fianco del suo
posto e cominciai un discorso imbarazzato.
"...Claudia,
vedi... questo film... non so se... insomma... sai... il babbo, e la mamma
soprattutto..."
Lei
distolse per un attimo l'attenzione dallo schermo, anche a dieci anni manteneva
tratti teneramente infantili, lo sguardo che mi rivolse era l'immagine
dell'innocenza:
"...
non avrai mica intenzione di raccontarglielo!..."
Quattro
anni che ce l'avevo in classe, mentre tiravo un sospiro di sollievo pensai che
forse la vedevo oggi per la prima volta.
Paolo Scopetani
Paolo Scopetani
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