lunedì 12 ottobre 2015

Ciclone




Claudia non era solo una bella bambina, portava a giro i suoi occhi azzurri e il suo faccino rotondo con una dolcezza, un garbo e una delicatezza così naturali che tutti ne eravamo conquistati; era la più piccola della classe e dal momento del suo arrivo ne divenne la mascotte, adorata da tutti i compagni. La sua carriera scolastica era iniziata dalla seconda, perché i suoi genitori a cinque anni l'avevano iscritta alla "primina", una specie di anticipo dell'obbligo scolastico, del tutto arbitrario e privatistico, abbastanza frequente tra le famiglie che pensano così di "regalare" un anno di vantaggio ai propri figli nella corsa verso il futuro.
I genitori, appunto, erano secondo noi l'unico problema di Claudia. E non perché fossero delle persone problematiche. Tutti e due scienziati, lui direttore di un prestigioso centro di ricerche e lei docente universitaria, erano una coppia unita, brillante, colta, molto collaborativa con gli insegnanti e ben integrata nel gruppo degli altri genitori, con i quali partecipavano attivamente alle varie iniziative organizzate dalla scuola.
Il problema era l'atteggiamento iperprotettivo e la pretesa di continuo controllo che, soprattutto la mamma, aveva sviluppato nei confronti di Claudia, un atteggiamento di cui erano consapevoli e sul quale facevano anche dell'ironia, ma che non riuscivano a modificare.
Si giustificavano con il fatto di aver avuto Claudia ad un'età non giovanissima ed i colloqui con loro si riducevano spesso a raccomandazioni e richieste di rassicurazione sull'adeguatezza del percorso scolastico di Claudia, e sul fatto che a lei fossero evitati tutti i possibili traumi, fisici naturalmente, ma soprattutto emotivi.
Pur essendo persone aperte, prive di pregiudizi, riservavano particolari apprensione ed imbarazzo alle questioni relative alla sessualità che potessero sfiorare Claudia, trovavano che fosse sempre troppo presto per affrontare tali argomenti con lei e non perdevano occasione per raccomandarci di tenerla fuori da qualunque discussione o suggestione in questo settore; mentre in ogni altra disciplina, ovviamente, richiedevano il massimo delle performance.
Per noi erano insomma una presenza ingombrante, nonostante ci fossero molto simpatici non riuscivamo mai a metterci comodi con loro, sentivamo l'insicurezza e la disapprovazione sempre in agguato...
Intanto Claudia, più o meno ignara delle questioni irrisolte tra gli adulti intorno a lei, cresceva a scuola nel modo che riteneva migliore: impastando torte di fango, sbucciandosi le ginocchia, arrampicandosi sugli alberi, facendo la lotta con i maschi, sbadigliando a fare i compiti, parlando con le amiche durante le lezioni... e faceva tutto questo mantenendo una grazia ed una imperturbabilità che la facevano sembrare davvero chiusa in una bolla di sapone, impermeabile a giudizi e difficoltà. Almeno prima del Ciclone.

Erano i tempi che la scuola primaria si chiamava ancora elementare e la Maremma non era ancora di moda, con le mie colleghe organizzammo una gita nel magico triangolo etrusco/medievale Pitigliano, Sovana, Sorano. Lavoravamo su due classi parallele, due quinte, che consideravamo un unico insieme, dividendole all'occorrenza in gruppi misti, a seconda delle attività e dei momenti.
Ma non è di questo che si parla.
Per portarci a Pitigliano con il pulman venne a prenderci un autista giovanissimo, molto simpatico e sorridente. Sembrava avere pochi anni più dei nostri alunni.
Però sapeva il fatto suo. Dopo il breve tratto di superstrada, per salire all'Amiata, iniziano lente strade collinari, dalle curve infinite, dove vomiterebbe anche uno sherpa tibetano. Affrontarle con un gruppo di ragazzi scalmanati può trasformarsi davvero in un'esperienza splatter. Ma il nostro autista aveva l'antidoto giusto: un maxi schermo televisivo ed un film che avrebbe catturato corpo e mente dei ragazzi, stomaci compresi. "Il ciclone".
Per i tre o quattro che non conoscessero questo film, e ai quali raccomando di correre a procurarselo, dirò che si tratta di una commedia sentimental/boccaccesca, con battute divertenti, che oscillano dal surreale al triviale con una leggerezza e una malizia tutta toscana. Un audace gioco d'equilibrio per irridere il volgare senza mai caderci, attraverso situazioni e doppi sensi (a volte anche sensi unici) a sfondo sessuale.
Funzionò. I ragazzi si divertirono come pazzi, dandosi di gomito ad ogni battuta, rimasero concentrati sul film e si dimenticarono di vomitare.
Sull'opportunità della scelta le mie colleghe ed io non avemmo dubbi: in fondo era un film che  poteva essere proiettato anche nelle sale parrocchiali. Se il parroco è di larghe vedute.
L'unica perplessità stava nella reazione dei genitori di Claudia, una volta che ne fossero venuti a conoscenza. Però c'erano ancora tempo prima di tornare, poteva darsi che nel frattempo il film cadesse nel dimenticatoio.
Dopo tre giorni e due notti passati ad esplorare vie cave, scoprire tombe monumentali nella macchia, giocare agli etruschi su antiche mura, scendere in labirinti sotterranei scavati nel tufo, mangiare, anzi divorare, cibi di rigorosa produzione locale, ridere, scherzare e cercare di passare da una camera ad un'altra, eludendo la nostro sorveglianza, i ragazzi salirono sul pulman del ritorno. La prima cosa che chiesero fu di rivedere Il ciclone. E come potevamo dirgli di no? Oltretutto era una garanzia di riposo, ce lo meritavamo.
Claudia era in prima fila, attenta, seria, concentrata. Non si perdeva un fotogramma, sembrava l'inviata speciale di una rivista di critica cinematografica.
Avvicinandosi a Firenze nelle mie colleghe e in me saliva inevitabilmente l'ansia per il prevedibile scontro con i genitori di Claudia, di tutti gli altri eravamo più che sicuri che non ci sarebbero stati problemi.
Ad una mezz'ora  dall'arrivo non resistetti ad affrontare l'argomento con lei, mi misi a sedere sugli scalini a fianco del suo posto e cominciai un discorso imbarazzato.
"...Claudia, vedi... questo film... non so se... insomma... sai... il babbo, e la mamma soprattutto..."
Lei distolse per un attimo l'attenzione dallo schermo, anche a dieci anni manteneva tratti teneramente infantili, lo sguardo che mi rivolse era l'immagine dell'innocenza:
"... non avrai mica intenzione di raccontarglielo!..."
Quattro anni che ce l'avevo in classe, mentre tiravo un sospiro di sollievo pensai che forse la vedevo oggi per la prima volta.

Paolo Scopetani
 

Nessun commento :

Posta un commento