Otto
e cinque, otto e dieci. Era l’orario fissato ogni giorno con il mio compagno di
classe che abitava di fronte a me per andare a scuola a piedi.
Cominciammo
ad andare da soli dal primo di Ottobre dell’anno in cui iniziammo la prima elementare
(a quel tempo si chiamava così). Un chilometro o poco meno da percorrere per
arrivare da casa a scuola, sette attraversamenti di cui due con semaforo e gli
altri cinque sulle strisce, dai dieci ai quindici minuti di cammino. I primi
quindici giorni di scuola i nostri genitori ci accompagnarono per insegnarci la
strada e perché l’orario era provvisorio.
Il
primo attraversamento era quello più pericoloso perché indugiavo tra lo stare
concentrato a guardare la strada o volgere lo sguardo all’insù, alla ricerca di
quello di mia madre che mi osservava dalla terrazza a ringhiera della cucina.
Attraversata la prima strada, mi dirigevo con passo veloce e risoluto verso
l’abitazione del mio amico che spesso era già ad aspettarmi sul suo portone di
casa, allora mi giravo un’ultima volta e con la mano alzata salutavo la
mamma che poi rincasava congedandosi da
me. Lungo la strada, l’attività preferita era quella di cercare la targa più
recente: da appena un anno le targhe posteriori erano cambiate, le iniziali
della provincia erano sempre su sfondo nero ma erano arancioni e non più
bianche e a Firenze cominciavano a esserci le prime targhe con una lettera
oltre ai numeri. Sulle spalle portavamo la cartella e non lo zaino e le merende
erano sempre preparate in casa dalle mamme che non ci accompagnavano a scuola
non perché lavorassero e non avessero tempo ma perché, salvo alcune eccezioni,
era prassi fare così, faceva parte della crescita, del cambiamento: quando andrai a scuola per imparare a
leggere e scrivere ci andrai da solo perché sarai grande. All’uscita la
maestra ci accompagnava fino al cancello che dava sulla piazza dove era la mia
scuola e poi ci salutava senza l’ansia di doverci riconsegnare ai genitori. Chi
aveva il genitore che lo aspettava, lo cercava e andava da lui, chi, come me,
non aveva nessuno ad aspettarlo andava verso casa. La strada del ritorno era
circa uguale a quella dell’andata ma ci mettevamo molto di più perché eravamo
più bambini e andavamo di casa in casa ad accompagnare ognuno e poi parlavamo e
ci confrontavamo su ciò che era successo a scuola, sui compiti, sui compagni,
sulle maestre, qualche volta poteva accadere che ci azzuffassimo, sicuramente
abbiamo combinato varie birbonate ma bastava che intervenisse un qualsiasi
adulto e sentivamo subito la sua autorevolezza. In terza elementare mi
regalarono una bicicletta e in poco tempo cominciai ad usarla per andarci a
scuola. Dalla quinta elementare portavo sulla canna della bici mia sorella che
aveva iniziato la prima elementare, ci divertivamo come pazzi. Una volta siamo
cascati e ci siamo abrasi ginocchia, palmi delle mani e gomiti, ci soccorse la
signora che aveva il negozio di pasta fatta a mano all’angolo della strada dove
era avvenuta la caduta e per consolarci ci dette un tortellone di spinaci e
ricotta a testa di cui ricordo ancora il sapore. Non esistevano il caschetto né
le piste ciclabili, il traffico certamente era minore ma gli incidenti, anche
mortali, purtroppo accadevano e non erano così rari. La cosa che c’era e che
ora non c’è più è che bambini e ragazzi erano di tutti e di nessuno, ogni
adulto si sentiva responsabile dell’educazione dei ragazzi e allo stesso tempo
gli adulti ed i ragazzi si fidavano un po’ di più degli altri. Forse c’era meno
consapevolezza in generale ma sicuramente c’era una maggiore responsabilità
sociale. I bambini erano più liberi di imparare e quindi anche di sbagliare,
non avevano cellulari a sorvegliarli ma una rete di adulti che spesso si
conoscevano solo di vista ma avevano, in modo naturale ed implicito, tutti lo
stesso obiettivo: far crescere i ragazzi che trovavano sulla loro strada.
Matteo
Bianchini
Anche io ho iniziato ad andare a piedi a scuola con mio cugino più grande di me (quarta elementare). I tempi erano diversi...meno traffico, meno preoccupazioni. Si cresceva prima! Difficile riprodurre quello che è stato. occorre trovare nuove modalità di crescita!
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