Prima di tutto grazie.
I numerosi contatti e i commenti suscitati da “Lezioni di
piano” mi hanno sorpreso e gratificato ben oltre i meriti del testo stesso, Ed
è senz'altro riduttivo chiamarli commenti, in effetti si tratta di veri e
propri articoli, completi, profondi, suggestivi, scritti con competenza e
passione.
Tutti hanno sollecitato quello che dovrebbe essere l'unico
orgoglio di un maestro: vedersi superare da coloro a cui si rivolge, e con
tutti sono d'accordo (anche se alcuni si pongono in netta giustapposizione e
danno letture del fenomeno apparentemente opposte).
Questo non fa che confermare che viviamo “strani tempi” e
che “la confusione è grande sotto il cielo”. Quindi “la situazione è
favorevole”.
Meno male perché a scuola, e sotto, sopra e tutto intorno,
c'è un gran bisogno di ottimismo, piacevolezza, curiosità e fiducia; compito
difficile, che visto il contesto sembrerebbe un passaggio di quarto grado, ma
potrebbe essere che brancoliamo nel buio solo perché ci ostiniamo a tenere gli
occhi chiusi o forse si tratta di cercare meglio il punto della parete dove
qualcuno deve pur aver sistemato l'interruttore della luce!
Come persone, genitori e insegnanti siamo costantemente
frustrati da innumerevoli situazioni, non ultima il mancato ascolto che
rimproveriamo ai nostri figli/alunni, ma noi con che moneta li ripaghiamo? E
cosa significa ascoltare? Di quali azioni è parente e a quali scopi serve
davvero l'ascolto?
Da qualche tempo Giuditta viene a scuola di malavoglia,
strascica i piedi nel corridoio, la testa inclinata sulla spalla, lo sguardo
sfuggente e perso nel vuoto.
Inutile chiederle cos'è che non va, si nasconde dietro un
libro e chiude la comunicazione prima ancora di aprirla.
Per qualche tempo l'assedio con domande prima discrete poi
pressanti, la blandisco con promesse, la scuoto con minacce (che tutti e due
sappiamo non manterrò) la punisco con abbandoni tanto risentiti quanto
temporanei; poi ritorno invariabilmente a importunarla con la mia curiosità
offesa.
Certo sono interessato a lei, mi dispiace il suo malessere,
ma soprattutto mi innervosisce il non capire. Giuditta è una bambina
intelligente, pronta, brillante, non ha difficoltà scolastiche né tantomeno
relazionali, anche in famiglia non ci sono problemi. Nessuna ragione di
disagio.
Allora che cosa la infastidisce tanto?
In fondo le contesto proprio il diritto di essere triste e
il non volermene spiegare le ragioni.
Oggi arriviamo insieme davanti alla porta di scuola,
entrando la saluto, lei mi risponde con lo stesso broncio assonnato dei giorni
precedenti e, forse perché anch'io ho sonno e vorrei fortemente essere altrove,
mi scappa un sorriso complice. Lei raddrizza la testa.
Prima di pensarci mi chino e allargo le braccia, dondola
come fosse un po' incerta, ma fa due passi e si attacca con slancio al mio
collo. Mi alzo e viene su come una piuma. Mentre percorriamo il corridoio verso
la classe le mormoro “...che succede?..” ho paura di aver osato troppo “...ora
si chiude e non risponde...” Penso.
Invece sussurra qualcosa. “...mi stanno tutti addossso, non
mi piace...”
In effetti è la bambina più contesa del gruppo, sempre al
centro dei giochi e delle scelte nel lavoro, la compagna ideale per tutti.
“...beh la popolarità ha i suoi lati negativi, ma sarebbe
peggio essere ignorata ed esclusa, non credi?...”
“...vorrei nascondermi e che nessuno mi vedesse più, mai
più, stare per sempre sola...”
Nel dirlo affonda il viso sulla mia spalla, eppure mi sembra
di vederle brillare due lacrime.
Nel suo tono c'è una determinazione così totale ed esclusiva
che dà le vertigini. Non posso fare altro che stringerla più forte, quasi che
fuori di questo abbraccio l'aspettasse un precipizio.
Al contrario di noi maschietti, prosaicamente relativisti,
le donne hanno una pericolosa attrazione per l'assoluto, le piccole donne non
fanno eccezione, come si fa a non sentire il bisogno di proteggerle?
Siamo arrivati davanti alla nostra aula e la piuma si è
trasformata in piombo.
Mi siedo su un tavolo per continuare a sostenerla, “vuoi che
parli io agli altri per chiedergli di lasciarti un po' respirare?” Pensa solo un attimo, scuote la testa
“...macchè!...”
Scende con l'agile imbarazzo dei gattini che sono saliti
troppo in alto su un tronco e per la prima volta da giorni la vedo correre
verso la porta della classe, protesa in avanti con una spalla più bassa ginocchia e braccia che mulinano comicamente.
È proprio buffa.
“...mercoledì devo lavorare meglio sulla corsa in
palestra...”penso.
Entro e la vedo impegnata in una fitta conversazione con
Allegra che è arrivata prima di noi.
Ridono di qualcosa che non saprò mai e se lo sapessi
sicuramente non capirei. Resto lì a pensare a quello che è appena successo.
Ho capito le ragioni del malessere di Giuditta? No.
L'ho ascoltata? Si.
È servito a sbloccare la situazione? Non lo so, ma non
posso/voglio escluderlo.
Di sicuro lei si è improvvisamente distesa e rilassata,
dipende dal nostro breve colloquio?
Chi lo sa?
Forse si era semplicemente stancata di fare la “signorina tu
mi stufi”. Forse mi ha detto la prima cosa che le è venuta in mente per
tacitare le mie noiose indagini. Forse ha avuto paura che parlando con i suoi
compagni l'avrei messa in imbarazzo.
Oppure ho trovato l'interruttore e si è accesa la luce, per
lei, perchè io sono ancora al buio.
Mi viene in mente che ascoltare non ha alcuna relazione con
il capire, magari è più vicino al
com-prendere, se questo verbo deriva etimologicamente da
cum-prendere, prendere con sé. Insomma abbracciare. Ed io Giuditta non solo
l'ho presa con me ma l'ho anche portata per tutto il corridoio offrendole (e
concedendomi) il privilegio di un abbraccio gratis e di uno scambio
disinteressato.
Perchè non potrebbe essere questa la ragione del superamento
del malumore di Giuditta, qualunque causa avesse? Ed ha qualche importanza che
io arrivi a conoscere questa ragione?
È un lunedì uggioso e sono arrivato a scuola senza avere
nessuna idea di cosa proporre ai ragazzi, però nel fine settimana sono
inciampato in una poesia che parla di abbracci, potrebbe essere un'idea...
Paolo Scopetani
Come la bruma non lascia sfregi
RispondiEliminaSul verde cupo della collina
Così il mio corpo non lascia sfregi
Su di te e non lo farà mai
Oltre le finestre nel buio
I bambini vengono, i bambini vanno
Come frecce senza bersaglio
Come manette fatte di neve
Il vero amore non lascia tracce
Se tu e io siamo una cosa sola
Si perde nei nostri abbracci
Come stelle contro il sole
Come una foglia cadente può restare
Un momento nell'aria
Così come la tua testa sul mio petto
Così la mia mano sui tuoi capelli
E molte notti resistono
Senza una luna, senza una stella
Così resisteremo noi
Quando uno dei due sarà via, lontano
Leonard Cohen lo dice molto meglio di me quale gesto d'amore, di cura e di memoria possa essere un abbraccio. Credimi Paolo, non possiamo far altro che questo, così come lo hai fatto tu. Un abbraccio, un prendersi carico, dolcemente in modo autentico, che importa l'imperfezione, che vale sapere? Tanto non è il sapere che fa la differenza, ma il saperci essere..Giuditta è fortunata, ma non solamente lei. Anche tutti gli altri bambini in classe sapranno che esistono uomini che si protendono verso le donne, per abbracciarle, sperando di comprenderle, senza arroganza né rivendicando il potere o la presunzione di avercelo. Credo sia prezioso, in ogni tempo e per sempre.
Un abbraccio