lunedì 29 febbraio 2016

Indiana Jones


E’ arrivato ormai otto anni fa. Me lo ricordo come fosse ora, vestito monocolore con camicia e gilet, capelli al vento, baffi e pizzetto e quegli occhi vivi e lucidi, veloci e precisi come uno scanner. Si presenta, entra nella classe come un vecchio capitano di vascello varcherebbe la soglia di una barca completamente da riparare. Mi è venuto d’istinto di affidarmi a lui, a quell’uomo dalla figura esile ma allo stesso tempo dal temperamento forte e deciso, a quell’uomo vestito come un gentiluomo di un tempo che fu ma con la suoneria del telefonino che intona il motivo di “Indiana Jones”.
Ci scambiamo poche parole e mentre lo facciamo lui si mette già all’opera, in modo quasi meccanico, come se ripetesse gesti ed azioni ormai talmente acquisite da diventare automatiche. Lo osservo, sta cambiando l’organizzazione dello spazio di quella che dovrà essere la nostra classe e che ospiterà i nostri ragazzi tra qualche giorno. L’aula è un caos totale, piena di oggetti inutili e obsoleti. Senza che me ne sia accorto è riuscito, in pochissimo tempo, a trasformare quella stanza disordinata e sporca nella più bella classe in cui sia mai entrato. E’ un maestro jedi dico tra me e me, mi è capitato come collega lo Joda dei maestri di scuola primaria…sarà un anno interessante…
Non avevo mai avuto un collega del mio stesso sesso, ho lavorato in varie scuole anche di diverso ordine e grado ma mai mi era capitato di lavorare con un maschio.
Paolo è il mio capitano di vascello, mi ha insegnato a tenere il timone della barca, a navigare con la bussola quando era nuvoloso e a fidarmi delle stelle nei giorni in cui il cielo era terso.
Mi ha insegnato a mantenere la traiettoria giusta ma anche a non aver paura di cambiare rotta quando le cose si mettono male. Mi ha insegnato ad ascoltare il silenzio dei bambini quando lavorano con interesse, quando si meravigliano e ti stanno ad ascoltare a bocca aperta o quando sono stanchi e ti chiedono di raccontargli una storia. Mi ha ricordato quanto sia importante stupirsi e quanto sia “stupefacente” la realtà per i ragazzi se gliela sai presentare, se gliela sai far conoscere. Paolo è un maestro appassionato del suo lavoro ma allo stesso tempo non è né geloso di quello che fa e che sa né pensa che chi lavora in modo diverso da lui stia sbagliando, semmai è convinto che gli stia facendo conoscere un nuovo modo di operare. In questi anni con Paolo abbiamo condiviso le storie di circa quaranta bambini, ne abbiamo portati molti di più al mare, in campagna, in montagna, a cavallo,  in bicicletta, a camminare di notte ascoltando l’ululare dei lupi, su autobus cittadini affollatissimi, sotto la pioggia battente a visitare la nostra città, a ballare la musica africana, al mercato a comprarsi la merenda. Ci siamo arrabbiati, abbiamo discusso, abbiamo litigato, abbiamo sognato, abbiamo sperato, ci siamo confrontati, abbiamo diviso gioie e dolori. Abbiamo lavorato insieme, ci abbiamo provato e continuiamo a farlo.
Tutto questo parlando pochissimo, spesso soltanto scambiandoci un’occhiata, affidandoci i segreti più profondi della nostra anima ma magari scordandoci di dire all’altro, al cambio dell’ora chi erano i bambini assenti e chi sarebbe andato via, se c’era da firmare una circolare o se c’era da fare una comunicazione ai genitori. Tante volte abbiamo fatto le cose prima di organizzarle, ci siamo sempre sentiti un gruppo supportato e aiutato dai genitori che hanno perdonato le nostre dimenticanze e hanno aderito a tutte le idee pazze e strampalate che abbiamo fatto sperimentare ai loro figli. I nostri alunni si sono arrampicati sugli alberi, sporcati di mota giocando con le pozzanghere, imparato a fare la lotta, commentato le partite di calcio il lunedì mattina con i loro maestri. Hanno avuto due maestri maschi, probabilmente con una spiccata parte femminile, ma sempre di maschi si tratta.
Mi auguro di poter continuare a giocare ancora tanto con quel cow boy di Indiana Jones, con il mio capitano, con tutte le nostre debolezze, le nostre somiglianze e le nostre diversità, del resto lui è un uomo a tinta unita ed io a righe: il capitano e il mozzo.

Matteo Bianchini
 




1 commento :

  1. ...e meno male che tra noi due lo scrittore dovrei essere io! È almeno la terza volta che non solo arrivi sul pezzo prima di me, ma scrivi anche di argomenti, pensieri, tempi e luoghi che avrei voluto mettere su carta "il giorno dopo".
    Insomma mi prendi ancora in contropiede, e anche questo è strano: non ero io l'ala destra veloce e sgusciante e tu il mediano tosto che "lavora sui polmoni"?
    Ma è giusto così perché nella nostra colleganza, che è stata da subito soprattutto amicizia e complicità, i ruoli non sono mai stati fissi né importanti, molto meglio il gioco, la sorpresa, l'emozione, la scoperta. E la fiducia.
    Grazie Matteo, ammiraglio in veste di mozzo, mi hai commosso e lasciato senza parole, ma stai in campana: chi la fa l'aspetti!
    Paolo

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