Quando
progettammo la gita di fine anno scolastico, che sarebbe stata anche l'ultima
che avremmo fatto con i ragazzi, ne avevamo chiaro lo scopo, e poco altro.
Doveva essere il
compimento di un'impresa e una prova di iniziazione, un lungo saluto e un nuovo
inizio; pensammo così ad un viaggio lento, che prevedesse una meta, ma avesse
un valore di per sé, per il suo compiersi, attimo per attimo; come dice il Dodo
ad Alice: "L'importante è il viaggio, ragazzina, non la meta..."
E quale meta è più
emblematica del mare, quale mezzo più adatto a misurare le proprie forze del
passo del viandante?
Un trekking, dunque, che
ci portasse al mare attraverso un lungo camminare, un viaggio alla ricerca
dell'avventura fuori e dentro ciascuno di noi, che forzasse i limiti, fisici ed
emotivi di ognuno: la fatica, la noia, la paura, per arrivare a
sciogliere i nodi, a riconoscersi uguali e cambiati.
Una prova che
soprattutto verificasse e cementasse le ragioni profonde dello stare insieme
del nostro gruppo, proprio nel momento che vedeva la fine, necessaria, di
consuetudini costruite in cinque anni di quotidianità.
Con queste premesse non
fu difficile trovare il territorio adatto: le colline metallifere, la stagione:
piena primavera, la meta: la spiaggia di Rimigliano, da raggiungere dopo aver
sceso le colline, attraversato boschi, guadato fiumi, superate la macchia e la
duna.
Di tutto quello che
avrebbe tenuto lontano l'arrivo dalla partenza quasi non parlammo, secondo una
pratica che ci lega (e innervosisce alquanto i colleghi più scrupolosi, correttamente
abituati a progettare attività ed esperienze nei dettagli, prima di
realizzarle).
Per noi invece il
sentiero si fa camminando (come dice Machado) e in questo caso più che in altri
contavamo che sarebbero stati il cammino, gli incontri, la strada, a darci le
occasioni, a suggerirci le opportunità, a costruire il viaggio. Interiore e
geografico.
Ci limitammo così a
prenotare le strutture di arrivo e studiammo con una guida del luogo i sentieri
che le collegavano, cercando di valutare le percorrenze in modo da arrivare
ogni sera vicino, o poco oltre, la riserva di energie del gruppo.
Delegammo
l'organizzazione logistica ai ragazzi (mezzi di trasporto, preventivi,
documentazioni, sussistenza, animazione...) informandoli che il progetto e la
realizzazione della gita sarebbero stati il loro esame di quinta elementare.
Poi ci mettemmo ad
aspettare la data della partenza.
Solo di due aspetti ci
eravamo assunti la responsabilità ed eravamo sicuri: che avremmo camminato
tutti i giorni, per ore ed ore attraverso paesaggi di una bellezza struggente,
e che una volta arrivati al mare avremmo regalato ai ragazzi una ghianda,
raccolta durante le tappe di avvicinamento.
Solo la prima di queste
condizioni si verificò davvero, l'altra mutò in qualcosa d'altro, in modo del
tutto imprevedibile, ma alla fine necessario e bello, lasciandoci una volta di
più nel dubbio se in quell'occasione, come in tante altre, siamo stati
veramente bravi, o solo fortunati.
Avevamo bisogno di venti
ghiande, venti soltanto. Un compito semplicissimo, visto che dovevamo
attraversare boschi formati per più della metà da querce e lecci.
Suggestionati da Hilmann
"...dentro la ghianda c'è già il progetto della quercia, la ghianda è già
la quercia..." avevamo deciso di consegnarne una ciascuno ai ragazzi.
Simbolo del loro essere progetti di donne ed uomini, del loro essere già quelle
donne e quegli uomini che abiteranno il futuro.
Una volta arrivati al
mare la consegna della ghianda avrebbe dovuto rappresentare, il compimento di
un rito di passaggio, la celebrazione di un distacco, il nostro congedo e la
nostra eredità. Una scelta forse troppo cerebrale, eccessivamente simbolica, ma
ci piaceva l'idea.
Solo che,
incredibilmente, non troviamo per terra nemmeno una ghianda, sembra che tutti i
cinghiali e gli scoiattoli della Maremma livornese si siano messi d'accordo per
ripulire il sentiero che percorriamo. Forse la stagione è già troppo avanti, o
ancora indietro, però nessuna ghianda! Neppure sugli alberi, nemmeno a pagarla
oro.
Il progetto salta e non
sappiamo come sostituirlo, ne parliamo a lungo alla ricerca di soluzioni, ma
non ci vengono idee apprezzabili. Così smettiamo anche di pensarci, qualcosa
succederà, qualcosa inventeremo.
Alla fine siamo al mare,
l'impresa è compiuta, l'avventura finita, il tempo passato. Ma la compagnia non
è ancora sciolta, c'è ancora una serata da vivere insieme. Un giorno in meno,
una notte in più.
Adesso siamo sulla
spiaggia ed il mare è così piatto che sembra possibile camminarci sopra, il
sole una palla incredibilmente arancione, l'orizzonte il taglio di un coltello.
Non una nuvola. Questa non è certamente bravura, e nemmeno fortuna, è solo un
Culo spudorato.
Sul bagnasciuga sassi
"che il mare ha consumato" incessantemente, per anni. Come si possono
contare i sassi di una spiaggia? Forse è più facile contare le stelle.
Ne raccogliamo alcuni,
ci giochiamo lanciandoli con il vecchio colpo di frusta del polso perché
rimbalzino sulla tavola del mare...
Lancio... Sassi...
Difficile dire a chi
viene per primo l'idea.
Parliamo a bassa voce e
ci mettiamo al lavoro scegliendone un centinaio dei più strani, colorati, belli
o semplici. Poi li raccogliamo tra i palmi delle mani unite e ci sediamo vicino
alla riva del mare.
in pochi secondi i
ragazzi ci raggiungono e siamo tutti seduti in cerchio. Il sole non si ferma a
guardarci. Forse dovrebbe. Altri occhi lo fanno, però. Luccicanti, al limitare
del giorno e della spiaggia.
"...quanti sassi ci
saranno su questa spiaggia ragazzi? Un numero che nessuno può nemmeno
immaginare, e per quanto possiamo cercare non ne troveremo mai uno uguale
all'altro. Eppure sono tutti ugualmente sassi, semplici sassi..."
Avevamo discusso a lungo
su come salutarli, ora le parole si dicono da sole.
"...esattamente
come voi: siete tutti ragazzi, e siete profondamente simili a tutti gli altri
ragazzi del mondo. Ma non esisterà mai nessuno uguale a voi. Ognuno di voi è
unico, e irripetibile, come questi sassi, che teniamo tra le mani..."
Il cerchio è tanto
silenzioso che il fruscio della sabbia trascinata da un'impercettibile risacca
sembra tempesta.
"...adesso ognuno
di voi, uno per volta, quando se la sente, si alzi e prenda un sasso. Il suo
sasso..."
In pochi minuti, senza
sovrapporsi, senza incrociarsi, senza esitazioni, senza rompere il silenzio,
tutti prendono un sasso. Lo tengono stretto nel palmo, lo soppesano, lo
guardano, lo riconoscono. Pensano di averlo adottato per sempre, invece...
"...in Nuovo cinema
Paradiso Totò viene lanciato nel futuro, chi lo lancia?..."
"...Alfredo..."
dice Simone
La ghianda è diventata
un sasso, e non ce l'ha detto Hilmann. Questa cosa non c'era prima che la
inventassimo! E se c'era non la conoscevamo. Male che vada l'abbiamo
riscoperta. Poi l'abbiamo coniugata con Nuovo cinema Paradiso che i
ragazzi hanno visto appena la sera prima.
"...sì Alfredo, e
anche questa quinta elementare è per voi un piccolo trampolino di lancio..."
Già, il lancio. È qui
che si chiude il cerchio, adesso viene il difficile.
"...ma se volete
davvero partire per il futuro dovete prendere il vostro sasso, che siete voi, e
lanciarlo in mare il più lontano possibile..."
Le mani si stringono
istintivamente intorno ai sassi appena ricevuti e già persi. Qualcuno mormora
un no soffocato.
Vivere è un costante
allenamento a lasciare indietro tutto quello che si incontra.
"...uno alla volta,
quando ve la sentite..."
Quando si alzano lo
fanno con decisione, con urgenza, con gioia. Coprono i pochi passi che li
separano dal bagnasciuga quasi correndo, tendono indietro il braccio e lo fanno
scattare come una molla. Il più lontano possibile, qualcuno anche molto in
alto, tutti sopra il piano del sole, ormai vicinissimo alla linea
dell'orizzonte.
Se avessimo saputo
immaginare la scena l'avremmo voluta proprio così, ma lo sappiamo solo ora che
l'abbiamo vissuta e resta quindi solo una questione aperta: siccome una volta
di più il caso ha giocato una parte importante in quello che è successo
dobbiamo concludere che siamo molto fortunati? O forse per meritare la fortuna
occorre anche essere bravi? oppure per acquistare una certa bravura è
necessario essere fortunati?...
Sicuramente, perché le
magie accadano, occorre un po' crederci, un po' costruirle, un po' lasciarsi
trascorrere, un po' saper annusare l'aria...
"...e velocità
d'esecuzione..." direbbe il Perozzi, per rimanere in ambito
cinematografico.
...sì, "Educazione
affettiva" è stato un lungo viaggio, abbiamo incontrato migliaia di
bambini, genitori e colleghi. È stato un tempo rubato alle nostre attività, ma
sappiamo di essere riusciti a portare la scuola fuori, a raccontarla, a
condividerla...
Un viaggio che ha
coinvolto tantissime persone, un gruppo di lavoro che solo rimanendo coeso ha
cavalcato le onde ed è arrivato al pubblico, ha trovato un pubblico…
Un
viaggio che continua ed è diventato una finestra, da dove parlare e far entrare
tanta aria fresca e buona.
Il DVD di Educazione affettiva è finalmente disponibile online!
Sicuramente, di tutte le cose che elenchi, caro maestro, le più difficili da acquisire sono le ultime due: la capacità di lasciarsi trascorrere (meglio ancora di lasciarsi trasportare, farsi attraversare), e quella di saper annusare l'aria, essere quindi in un perfetto momento sincronico. Grazie per questo bel racconto che mi ha permesso di esserci..o meglio, io già c'ero.. ma ancora non c'ero..insomma..ci siamo capiti!
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