lunedì 13 marzo 2017

Come la ghianda diventò un sasso


Quando progettammo la gita di fine anno scolastico, che sarebbe stata anche l'ultima che avremmo fatto con i ragazzi, ne avevamo chiaro lo scopo, e poco altro. 
Doveva essere il compimento di un'impresa e una prova di iniziazione, un lungo saluto e un nuovo inizio; pensammo così ad un viaggio lento, che prevedesse una meta, ma avesse un valore di per sé, per il suo compiersi, attimo per attimo; come dice il Dodo ad Alice: "L'importante è il viaggio, ragazzina, non la meta..."
E quale meta è più emblematica del mare, quale mezzo più adatto a misurare le proprie forze del passo del viandante? 
Un trekking, dunque, che ci portasse al mare attraverso un lungo camminare, un viaggio alla ricerca dell'avventura fuori e dentro ciascuno di noi, che forzasse i limiti, fisici ed emotivi di ognuno:  la  fatica, la noia, la paura, per arrivare a sciogliere i nodi, a riconoscersi uguali e cambiati. 
Una prova che soprattutto verificasse e cementasse le ragioni profonde dello stare insieme del nostro gruppo, proprio nel momento che vedeva la fine, necessaria, di consuetudini costruite in cinque anni di quotidianità. 
Con queste premesse non fu difficile trovare il territorio adatto: le colline metallifere, la stagione: piena primavera, la meta: la spiaggia di Rimigliano, da raggiungere dopo aver sceso le colline, attraversato boschi, guadato fiumi, superate la macchia e la duna. 
Di tutto quello che avrebbe tenuto lontano l'arrivo dalla partenza quasi non parlammo, secondo una pratica che ci lega (e innervosisce alquanto i colleghi più scrupolosi, correttamente abituati a progettare attività ed esperienze nei dettagli, prima di realizzarle).
Per noi invece il sentiero si fa camminando (come dice Machado) e in questo caso più che in altri contavamo che sarebbero stati il cammino, gli incontri, la strada, a darci le occasioni, a suggerirci le opportunità, a costruire il viaggio. Interiore e geografico. 
Ci limitammo così a prenotare le strutture di arrivo e studiammo con una guida del luogo i sentieri che le collegavano, cercando di valutare le percorrenze in modo da arrivare ogni sera vicino, o poco oltre, la riserva di energie del gruppo. 
Delegammo l'organizzazione logistica ai ragazzi (mezzi di trasporto, preventivi, documentazioni, sussistenza, animazione...) informandoli che il progetto e la realizzazione della gita sarebbero stati il loro esame di quinta elementare. 
Poi ci mettemmo ad aspettare la data della partenza.
Solo di due aspetti ci eravamo assunti la responsabilità ed eravamo sicuri: che avremmo camminato tutti i giorni, per ore ed ore attraverso paesaggi di una bellezza struggente, e che una volta arrivati al mare avremmo regalato ai ragazzi una ghianda, raccolta durante le tappe di avvicinamento.
Solo la prima di queste condizioni si verificò davvero, l'altra mutò in qualcosa d'altro, in modo del tutto imprevedibile, ma alla fine necessario e bello, lasciandoci una volta di più nel dubbio se in quell'occasione, come in tante altre, siamo stati veramente bravi, o solo fortunati.

Avevamo bisogno di venti ghiande, venti soltanto. Un compito semplicissimo, visto che dovevamo attraversare boschi formati per più della metà da querce e lecci. 
Suggestionati da Hilmann "...dentro la ghianda c'è già il progetto della quercia, la ghianda è già la quercia..." avevamo deciso di consegnarne una ciascuno ai ragazzi. Simbolo del loro essere progetti di donne ed uomini, del loro essere già quelle donne e quegli uomini che abiteranno il futuro. 
Una volta arrivati al mare la consegna della ghianda avrebbe dovuto rappresentare, il compimento di un rito di passaggio, la celebrazione di un distacco, il nostro congedo e la nostra eredità. Una scelta forse troppo cerebrale, eccessivamente simbolica, ma ci piaceva l'idea.
Solo che, incredibilmente, non troviamo per terra nemmeno una ghianda, sembra che tutti i cinghiali e gli scoiattoli della Maremma livornese si siano messi d'accordo per ripulire il sentiero che percorriamo. Forse la stagione è già troppo avanti, o ancora indietro, però nessuna ghianda! Neppure sugli alberi, nemmeno a pagarla oro. 
Il progetto salta e non sappiamo come sostituirlo, ne parliamo a lungo alla ricerca di soluzioni, ma non ci vengono idee apprezzabili. Così smettiamo anche di pensarci, qualcosa succederà, qualcosa inventeremo.

Alla fine siamo al mare, l'impresa è compiuta, l'avventura finita, il tempo passato. Ma la compagnia non è ancora sciolta, c'è ancora una serata da vivere insieme. Un giorno in meno, una notte in più. 
Adesso siamo sulla spiaggia ed il mare è così piatto che sembra possibile camminarci sopra, il sole una palla incredibilmente arancione, l'orizzonte il taglio di un coltello. Non una nuvola. Questa non è certamente bravura, e nemmeno fortuna, è solo un Culo spudorato. 
Sul bagnasciuga sassi "che il mare ha consumato" incessantemente, per anni. Come si possono contare i sassi di una spiaggia? Forse è più facile contare le stelle.
Ne raccogliamo alcuni, ci giochiamo lanciandoli con il vecchio colpo di frusta del polso perché rimbalzino sulla tavola del mare... 
Lancio... Sassi...
Difficile dire a chi viene per primo l'idea.
Parliamo a bassa voce e ci mettiamo al lavoro scegliendone un centinaio dei più strani, colorati, belli o semplici. Poi li raccogliamo tra i palmi delle mani unite e ci sediamo vicino alla riva del mare. 
in pochi secondi i ragazzi ci raggiungono e siamo tutti seduti in cerchio. Il sole non si ferma a guardarci. Forse dovrebbe. Altri occhi lo fanno, però. Luccicanti, al limitare del giorno e della spiaggia. 
"...quanti sassi ci saranno su questa spiaggia ragazzi? Un numero che nessuno può nemmeno immaginare, e per quanto possiamo cercare non ne troveremo mai uno uguale all'altro. Eppure sono tutti ugualmente sassi, semplici sassi..." 
Avevamo discusso a lungo su come salutarli, ora le parole si dicono da sole.
"...esattamente come voi: siete tutti ragazzi, e siete profondamente simili a tutti gli altri ragazzi del mondo. Ma non esisterà mai nessuno uguale a voi. Ognuno di voi è unico, e irripetibile, come questi sassi, che teniamo tra le mani..." 
Il cerchio è tanto silenzioso che il fruscio della sabbia trascinata da un'impercettibile risacca sembra tempesta.
"...adesso ognuno di voi, uno per volta, quando se la sente, si alzi e prenda un sasso. Il suo sasso..."
In pochi minuti, senza sovrapporsi, senza incrociarsi, senza esitazioni, senza rompere il silenzio, tutti prendono un sasso. Lo tengono stretto nel palmo, lo soppesano, lo guardano, lo riconoscono. Pensano di averlo adottato per sempre, invece...
"...in Nuovo cinema Paradiso Totò viene lanciato nel futuro, chi lo lancia?..."  
"...Alfredo..." dice Simone
La ghianda è diventata un sasso, e non ce l'ha detto Hilmann. Questa cosa non c'era prima che la inventassimo! E se c'era non la conoscevamo. Male che vada l'abbiamo riscoperta.  Poi l'abbiamo coniugata con Nuovo cinema Paradiso che i ragazzi hanno visto appena la sera prima.
"...sì Alfredo, e anche questa quinta elementare è per voi un piccolo trampolino di lancio..."
Già, il lancio. È qui che si chiude il cerchio, adesso viene il difficile.
"...ma se volete davvero partire per il futuro dovete prendere il vostro sasso, che siete voi, e lanciarlo in mare il più lontano possibile..."
Le mani si stringono istintivamente intorno ai sassi appena ricevuti e già persi. Qualcuno mormora un no soffocato. 
Vivere è un costante allenamento a lasciare indietro tutto quello che si incontra.
"...uno alla volta, quando ve la sentite..."
Quando si alzano lo fanno con decisione, con urgenza, con gioia. Coprono i pochi passi che li separano dal bagnasciuga quasi correndo, tendono indietro il braccio e lo fanno scattare come una molla. Il più lontano possibile, qualcuno anche molto in alto, tutti sopra il piano del sole, ormai vicinissimo alla linea dell'orizzonte.

Se avessimo saputo immaginare la scena l'avremmo voluta proprio così, ma lo sappiamo solo ora che l'abbiamo vissuta e resta quindi solo una questione aperta: siccome una volta di più il caso ha giocato una parte importante in quello che è successo dobbiamo concludere che siamo molto fortunati? O forse per meritare la fortuna occorre anche essere bravi? oppure per  acquistare una certa bravura è necessario essere fortunati?... 
Sicuramente, perché le magie accadano, occorre un po' crederci, un po' costruirle, un po' lasciarsi trascorrere, un po' saper annusare l'aria...  
"...e velocità d'esecuzione..." direbbe il Perozzi, per rimanere in ambito cinematografico.

...sì, "Educazione affettiva" è stato un lungo viaggio, abbiamo incontrato migliaia di bambini, genitori e colleghi. È stato un tempo rubato alle nostre attività, ma sappiamo di essere riusciti a portare la scuola fuori, a raccontarla, a condividerla...
Un viaggio che ha coinvolto tantissime persone, un gruppo di lavoro che solo rimanendo coeso ha cavalcato le onde ed è arrivato al pubblico, ha trovato un pubblico… 
Un viaggio che continua ed è diventato una finestra, da dove parlare e far entrare tanta aria fresca e buona. 

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1 commento :

  1. Sicuramente, di tutte le cose che elenchi, caro maestro, le più difficili da acquisire sono le ultime due: la capacità di lasciarsi trascorrere (meglio ancora di lasciarsi trasportare, farsi attraversare), e quella di saper annusare l'aria, essere quindi in un perfetto momento sincronico. Grazie per questo bel racconto che mi ha permesso di esserci..o meglio, io già c'ero.. ma ancora non c'ero..insomma..ci siamo capiti!

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